Cosa è la profondità di campo? Possiamo immaginarla come la terza dimensione della nostra foto, avendo determinato le coordinate x e y con la lunghezza focale. Meglio ancora, essa rappresenta quell’area, di estensione variabile, dove vi è una corretta messa a fuoco. Tutto ciò che ricade in questa area risulterà ben nitido, mentre ciò che ricade al di fuori sarà riprodotto nella foto non a fuoco.
La profondità di campo è considerata da molti una tecnica di composizione fotografica. Quella transizione che spesso si crea tra aree di non messa a fuoco, e fuoco perfetto, infatti, aiuta chi guarderà la nostra immagine ad essere catturati ed interessati, facendoci difficilmente distogliere lo sguardo.
Un esempio di minima profondità di campo 
Una minima profondità di campo da anche modo di risaltare maggiormente il nostro soggetto, producendo uno sfondo indecifrabile dall’occhio e poco interessante.
Il soggetto cattura la nostra attenzione 
Come controllare la profondità di campo? Essa è il frutto di tre importanti fattori:
- la distanza tra la fotocamera ed il soggetto;
- la lunghezza focale;
- l’apertura del diaframma.
Si può notare che le grandezze in gioco sono in realtà delle lunghezze (distanza tra la fotocamera ed il soggetto e lunghezza focale) mentre l’apertura del diaframma è un numero adimensionale. È un chiaro segnale che la profondità di campo (un’altra lunghezza) può essere ottenuta tramite una formula matematica. Ma siamo fotografi, non matematici, quindi ve la risparmio. Tuttavia, se volete “giocare” con questa formula e rendervi conto delle grandezze della profondità di campo variando i tre valori che ho menzionato, vi suggerisco di cliccare qui. In questo sito potrete indicare la vostra fotocamera (per tenere in considerazione il fattore di crop, di cui ne parlo in questo articolo), ed i tre parametri che state utilizzando.
Ma torniamo a noi ed analizziamo il primo fattore che contribuisce alla profondità di campo. Si tratta della distanza tra la fotocamera, o per essere più precisi dal piano del sensore, ed il nostro soggetto. Questo fattore è sicuramente no-cost, in quanto in qualsiasi momento, in qualsiasi circostanza ci si può avvicinare od allontanare dal nostro soggetto ad alcun costo. Nelle foto seguenti, che ho scattato a lughezza focale ed apertura del diaframma costanti (18mm e f/5.0), ho spostato il mio soggetto (una SLR Canon degli anni ’70) da una distanza di circa 50cm iniziale, a circa 4 metri. È evidente che con questa combinazione di fattori la profondità di campo incrementa molto rapidamente. Infatti nell’ultima immagine il paesaggio è tanto nitido quanto il nostro soggetto.
Il secondo fattore che può essere considerato un fattore low-cost è la lunghezza focale. Low cost perché soprattutto chi comincia a fotografare con una fotocamera DSLR spesso opta per obiettivi cosidetti superzoom: in questo tipo di obiettivi si hanno a disposizione lunghezze focali dal grandangolo al medio-lungo telefoto. Più comuni per fotocamere DSLR con sensori APS-C, questi obiettivi sono: il Nikon 18-105 mm f/3.5-5.6, il Sigma 18-125 f/3.5-5.6
, il Canon 18-135mm f/3.5-5.6
, il Nikkor 18-140 f/3.5-5.6
, e molti altri ancora.
Questa volta ho mantenuto la distanza tra fotocamera e soggetto costante (circa 2 metri), ed apertura di diaframma costante ad f/ 5.6, che è il valore di apertura del diaframma massimo all’estremità dell’escursione focale che si può ottenere con molti obiettivi superzoom. Ho semplicemente seguito le tacche presenti sul mio obiettivo per variare la lunghezza focale. Durante la sequenza si nota facilmente come lo sfondo diventi sempre più sfocato, fino a quando è totalmente indistinguibile. Tuttavia il soggetto è ben nitido e sicuramente ne beneficia in interesse acquisito.
Un altro esempio di minima profondità di campo 
Il terzo fattore è l’apertura del diaframma. Questo è un fattore che può diventare anche piuttosto costoso. Tuttavia vi sono degli obiettivi piuttosto economici che danno l’opportunità di sperimentare con aperture più grandi. Inoltre non occorre dimenticare che l’apertura del diaframma incide anche sulla quantità di luce che raggiunge il sensore, cosa che gli altri due fattori non influenzavano. Nella sequenza di foto sull’effetto che l’apertura del diaframma ha sull’immagine finale, ho mantenuto costante la lunghezza focale (50mm) e la distanza del soggetto. Ed iniziando da un valore di apertura pari ad f/ 32, ho incrementato tale valore di un singolo stop, fino ad arrivare all’apertura massima di f/ 5.0, su un obiettivo super-zoom.
Dunque per ottenere una profondità di campo la più ristretta possibile le vie possibili sono:
- avvicinarsi il più possibile al soggetto;
- usare una lunghezza focale tra il basso e l’alto telefoto;
- aprire il diaframma il più possibile, dunque usare un numero di f il più basso possibile.
Cosa fare se si vuole avere una profondità di campo estesa? Esattamente il contrario dell’elenco precedente. Anzi, molte volte basta solo mettere a fuoco in un punto lontano che la profondità di campo si estende all’infinito. Vi è una distanza detta iperfocale ed essa è quella distanza cui se mettessimo a fuoco in tal punto, la profondità di campo si estenderebbe da metà di tale distanza all’infinito. Per esempio ad una lunghezza focale di 18mm, su un sensore APS-C, usando un’apertura del diaframma di f/ 8.0, mettendo a fuoco ad appena 2,15m, la profondità di campo si estenderà da 1,075m dalla nostra fotocamera all’infinito. Ovviamente la distanza iperfocale dipende soltanto dalla lunghezza focale e dall’apertura del diaframma che utilizziamo. Maggiore la lunghezza focale, maggiore sarà la distanza iperfocale. Minore l’apertura del diaframma (maggiore il numero di f), minore sarà la distanza iperfocale.
Lasciate pure un commento se non vi è chiara qualche cosa, altrimenti se vi è stato utile per favore mettete mi piace e condividetelo in modo che altre persone possano usufruirne!