La mia curiosità nella fotografia mi è stata trasmessa da mio padre, il quale è stato anche lui un amante di questa espressione della creatività. Vediamo insieme cosa c’era nella borsa di un fotoamatore a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80.
Dopo il diploma si regalò una delle fotocamere più al grido di quel tempo, una Canon A-1. Era la fotocamera del momento e che segnò la storia. Infatti grazie ad essa la fotografia divenne di massa ed oggi si possono trovare decine di esemplari ancora perfettamente funzionanti ed il suo costo è molto basso. Il suo successo fu dovuto alla presenza nella fotocamera di un microprocessore che riusciva a calcolare un’esposizione di compromesso in base alla luce che colpiva l’esposimetro interno. Praticamente lo stesso meccanismo presente in tutte le fotocamere odierne, solo che appena 40 anni fa questa era la prima fotocamera ad averlo. Vi potete rendere facilmente conto di cosa significava: niente più giorni a studiare l’esposizione e come impostarla, niente più accessori extra per evitare di bruciare pellicola inutilmente (costava utilizzarla e costava svilupparla). Scattare con estrema facilità (relativa) in tutte le situazioni, una volta inserita la pellicola. Essa fu una delle ultime fotocamere con attacco FD. Canon appena 9 anni più tardi avrebbe introdotto il nuovo ed odierno attacco EF.
Tra gli obiettivi posseduti da mio papà ci sono due obiettivi fissi, ed uno zoom. Gli obiettivi fissi sono un FD 28mm f/2.8, ottimo grandangolo per una fotocamera da 35mm, e l’obiettivo standard, praticamente il bisnonno dell’odierno cinquantino: il 50mm f/1.8. Fin qui nulla di speciale, anzi era ed è il minimo necessario per foto con un’ottima nitidezza e luminosità, oltre che separazione del soggetto dallo sfondo, grazie a quell’apertura del diaframma. Ciò che mi colpisce è lo zoom: un 100-300mm f/5.6 costante. Oggi Canon non offre alcuno zoom con un’apertura del diaframma costante, ma sono tutte variabili. Solo la Nikon ha introdotto un obiettivo superzoom con apertura costante, il Nikkor 200-500mm f/5.6 VR, anche se la lunghezza focale è ben diversa. L’obiettivo che possiede mio papà può essere il progenitore di quello che sarebbe stato il 100-400mm f/4.5-5.6 IS di Canon. Non uno zoom particolarmente spinto, ma ottimo per avvinarsi un po’ di più al soggetto, oltre che realizzare ottime fotografie di paesaggi.
A questi obiettivi aveva affiancato anche un teleconvertitore Osawa da 2 volte. Lo zoom diventava dunque un 200-600mm f/11. Oggi queste aperture non sembrano proibitive, dato che le sensibilità dei nostri sensori hanno raggiunto livelli di qualità elevati, ma allora erano molto difficili da gestire. Innanzitutto si era bloccati per almeno 25, se non 36, foto, a meno che non volevate buttare un rullino, ad una determinata sensibilità della pellicola. Poi le pellicole non si spingevano oltre gli 800 ISO. Solo più tardi saranno presenti sul mercato sensibilità più spinte, ma oltre che care, non offrivano ottimi risultati. Quindi vi erano due scelte: quella di un flash esterno, od un treppiede, od entrambi.
Ritroviamo un flash Metz 45 CT-1, azionato con connessione PC-sync, oggi presente solo sulle reflex con sensori da 35mm, ed una comoda slitta che permetteva il suo aggancio al corpo macchina. Il flash, azionato da 6 batterie stilo, permette di orientare la testa in qualsiasi possibile direzione.
Aveva anche un treppiede, ma è andato distrutto, poiché la lega di magnesio, sebbene leggera, non è affatto idonea per un uso estensivo come è sottoposto il treppiede. Per evitare vibrazioni alla fotocamera, si era dotato anche di un otturatore remoto: un semplice cavo rivestito che, agganciato al pulsante dell’otturatore, lo azionava con il minimo contatto.
Non potevano mancare anche dei filtri, dal filtro polarizzatore, ai filtri per far risaltare o constratare un particolare colore, dal rosso al giallo. L’uso di questi filtri allora era indispensabile, dato che la pellicola non permetteva uno sviluppo spinto, quindi era bene cercare di avere un’esposizione quanto più vicina alla propria visione possibile, per poi fare gli ultimi aggiustamenti nella camera oscura.
Infine il kit di pulizia, composto da un soffietto con un pennello, per rimuovere lo sporco più tenace, ed anche della carta speciale Kodak per la pulizia degli obiettivi.
Insomma un kit essenziale ma ben fornito, ancor’oggi funzionante, con il quale mio padre realizzò delle cartoline di Caltabellotta, che vende tutt’oggi presso il proprio negozio. Non solo, ma con il quale ha documentato le sue esperienze dal viaggio di nozze alla mia infanzia, per poi passarmi, idealmente, il testimone.
Spero di essere stato chiaro, ma se aveste dei dubbi non esitate a lasciare un commento qui sotto all’articolo, che se lo avete trovato interessante vi invito a condividere: magari interesserà anche altri. Inoltre se non volete perdere i prossimi articoli iscrivetevi al mio blog!